I bambini piccoli sanno fin dalle prime fasi di vita di possedere un corpo. Il quesito che occorre porsi è però relativo al modo in cui hanno effettiva percezione di sé nello spazio.
Molti ricercatori scientifici si sono impegnati per tentare di dimostrare se e come i neonati percepiscano il proprio corpo e i suoi confini. Le teorie a questo proposito sono molteplici e negli ultimi anni le idee sono almeno in parte cambiate. Numerosi studi scientifici hanno provato a paragonare la consapevolezza di sé che possiede un adulto a quella sensazione difficilmente definibile che prova invece un bimbo.
Consapevolezza di sé: abilità precoce o apprendimento tardivo?
L’interpretazione su come e quando i bimbi possano sentire il proprio corpo e percepirne i suoi confini nello spazio circostante è di difficile valutazione. In passato in ambito scientifico si riteneva che nelle prime fasi di vita un bimbo non avesse percezione del proprio corpo nell’ambiente, e maturasse tale abilità soltanto successivamente durante la crescita.
Alcuni scienziati hanno formulato teorie secondo cui un neonato vive i suoi primi mesi in uno stato simbiotico con il corpo della mamma, senza essere in grado di distinguere il suo corpo da quello materno. La sensazione di un bambino così piccolo sarebbe dunque quella di una complessa e poco chiara indefinitezza dei propri confini corporei.
Studi più recenti si sono invece spinti in direzione opposta. Nuove valutazioni scientifiche hanno infatti permesso di concludere che i bimbi avrebbero una certa consapevolezza del proprio posto nello spazio. Questa percezione non sarebbe la stessa degli adulti, e in particolare non avrebbe quei caratteri sicuri e nitidi che un individuo cresciuto è in grado di sentire.
Un adulto infatti attraverso la completa e netta consapevolezza di sé e del proprio corpo riesce a percepirsi come un’entità a sé stante e distinta dagli altri. Questo tipo di approccio al mondo circostante deriva da un insieme multi-sensoriale di percezioni, che provengono dai muscoli, dalle articolazioni, e primariamente dagli organi di senso.
La domanda che occorre porsi è perciò quando un bambino acquisisce questa stessa abilità di percepirsi nello spazio in modo preciso?
Percezione di sé nello spazio in un bimbo
Le ricerche scientifiche condotte negli ultimi anni hanno permesso di concludere con un buon grado di sicurezza che un bambino inizi ad avere una consapevolezza di sé nello spazio a partire dal primo anno di vita.
Bambini anche molto piccoli quindi hanno la capacità di sentire le proprie gambe e le proprie braccia muoversi nell’ambiente che li circonda, e toccare così oggetti e persone circostanti. Tale capacità deriva da un’integrazione multi-sensoriale che induce nel bimbo la consapevolezza di sé stesso e la concreta possibilità di distinguere il proprio corpo dagli altri presenti intorno a sé.
L’esperimento di Rochat-Morgan
Risale al 1995 l’esperimento condotto dai ricercatori Philippe Rochat e Rachel Morgan che ha permesso di arrivare a stabilire con buona probabilità che anche i neonati abbiamo consapevolezza di sé e del proprio corpo nello spazio.
I due scienziati cercarono di registrare i tempi di reazione e il grado di attenzione con cui alcuni bambini rispondevano a determinate immagini. In particolare l’esperimento consisteva nel disporre un bimbo di fronte ad un doppio monitor riflettente. Metà dello schermo rispecchiava in modo identico le gambe del bimbo seduto su un normale seggiolone, mentre l’altra metà presentava un’immagine elaborata con le gambe disposte al contrario rispetto al punto di vista del piccolo protagonista dell’esperimento. Di fatto in tale maniera al bimbo venivano presentate due immagini, di cui una congruente con i segnali corporei dati da muscoli, articolazioni e organi sensoriali, e l’altra viceversa incongruente e contraria.
Ciò che Morgan e Rochat hanno voluto evidenziare con questo esperimento è stata la reazione dei bimbi coinvolti e in particolar modo il tempo che ognuno dedicava all’una e all’altra immagine riflessa. Il risultato dell’esperimento Rochat-Morgan mostrava come i bambini guardassero più a lungo l’immagine per così dire sbagliata, cioè quella dove le gambe apparivano posizionate in modo incongruo.
Di fatto dunque l’ipotesi conclusiva sosteneva che i bambini erano portati a concedere maggiore attenzione e più tempo ad un’immagine inattesa e discostante dalla normalità, e pertanto dovevano essere provvisti di uno schema almeno abbozzato del proprio corpo.
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