Un fenomeno in crescita e assolutamente preoccupante quello dei bambini scomparsi in Romania, i cosiddetti “children left behind”, che solo nel 2020 ha registrato un incremento di circa 6.000 casi.
I dati diffusi dalla Direzione Investigazioni Penali dell’ispettorato generale di Polizia sono stati analizzati dalle associazioni governative, esperti e volontari che danni si occupano del fenomeno, cercando di arginarlo individuando prima di tutto le cause.
Il fenomeno dei “children left behind” in Romania: i dati
Dal 2015 ha oggi si è registrato un incremento dei casi, sia a livello di sparizioni che di denunce fornite dai familiari: questi sono i dati, assolutamente preoccupanti, che trapelano dallo studio effettuato presso la Direzione Investigazioni Penali. Solo nel 2020 i casi registrati sono stati 5924, e di questi ben 206 bambini scomparsi hanno addirittura meno di 10 anni, 1453 tra i 10 e i 14 anni e i restanti oltre 14 anni.
Non solo i bambini scomparsi ma anche le denunce sono quasi raddoppiate dal 2015 ad oggi, a dimostrazione di come questo fenomeno sia noto alla comunità e cerchi di essere arginato o comunque prevenuto nel miglior modo possibile.
Si tratta comunque di una scoperta non nuova, poiché già nel 2008 le associazioni e gli attivisti denunciavano questo fenomeno attraverso un preciso e capillare studio condotto da Unicef in collaborazione con una ong rumena.
Cosa c’è dietro al fenomeno dei bambini scomparsi?
Per poter risolvere questo problema occorre individuare le cause che stanno alla base, le quali a parere degli esperti sono da ricercarsi primariamente nelle separazione dalle madri. Si tratta, infatti, spesso di bambini le cui madri partono alla volta di un paese occidentale, proprio per cercare di aiutare i figli e la famiglia a costruirsi un futuro, ma che così facendo causano nei bambini un senso di smarrimento e di ribellione. I bambini lasciano così la scuola, si trovano senza prospettiva e senza la presenza materna e, in ultimo, decidono a loro volta di partire o di scappare da casa.
Una soluzione potrebbe essere quella di migliorare le politiche di accoglienza, che coinvolgano però l’intero nucleo familiare e non soltanto un membro della famiglia.
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