Mi sono accorta che all’improvviso mio figlio non è più piccolo, ma non è ancora grande. Non è un adolescente, non un ragazzo, ma è in quella fase in cui ha ancora bisogno di me e lo dice.
Forse l’avrò già scritto, forse mi contraddirò in futuro, ma questa età di mezzo è l’età che preferisco da quando sono mamma.
Mi sembra un’età felice, un’età fortunata, equidistante da quelli che per me sono sempre sembrati patimenti legati all’accudimento e dal momento in cui mio figlio inizierà ad avercela con me, sempre e comunque, per il semplice motivo di essere sua madre.
Per la prima volta, mi ritrovo a fare cose insieme a lui, a bearmi della sua compagnia: per la prima volta lo percepisco come un mio accompagnatore.
Non sono più la sua balia, non sono più (solo) la sua educatrice, ma una compagna con la quale condividere esperienze.
Alcune sue, che sceglie lui, altre mie nelle quali mi segue svogliato, ma alle quali aggiunge ogni volta cose nuove, mostrandomi pezzi di mondo che da sola non vedrei.
Perché è questo quello che sta facendo il mio piccolo bambino grande: farmi conoscere nomi, storie, personaggi, canzoni, soprattutto canzoni, che da sola non avrei mai conosciuto. Insegnarmi che c’è sempre un punto di vista diverso, anche tra chi si ama, soprattutto tra chi si ama, e il fatto che il suo sia spesso diverso dal mio è una ricchezza della quale mi sento enormemente grata.
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