Il giudice Giulia Di Marco del Tribunale di Cremona – Sezione per Controversie di Lavoro – ha accolto l’istanza di una neo mamma manager dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Cremona che chiedeva da un anno lo smart working. La donna è direttrice della Rete Integrata Maternità Infantile dell’Asst e secondo quanto ha stabilito il Tribunale, può svolgere il suo lavoro da casa senza alcun pregiudizio per l’azienda.
La sentenza del giudice e il diritto alla smart working
La sentenza del giudice stabilisce che poiché la mamma manager organizza il lavoro dei consultori di Cremona e Casalmaggiore e questa attività non ha bisogno di una presenza in azienda, la donna può svolgere il proprio lavoro da casa senza alcun pregiudizio. L’Asst, perciò è stata condannata a pagare le spese processuali e il compenso professionale all’avvocato.
Si chiude in questo modo una vicenda iniziata un anno fa quando la manager, terminato il congedo per maternità, fa richiesta di proseguire l’attività in smart working, poiché il suo bambino ha meno di un anno, ma vede respinta la propria domanda. Carmen Fazzi, consigliere di Parità della Provincia di Cremona, prova a mediare tra le diverse posizioni, tuttavia neanche la proposta di lavorare di mattina in azienda e a casa nel pomeriggio riesce a convincere il datore di lavoro.
L’Asst infatti sostiene in giudizio che il lavoro agile è possibile esclusivamente per il personale senza incarichi dirigenziali, perciò la manager non ha diritto allo smart working. Il giudice Di Marco trova questa argomentazione piuttosto fragile e stabilisce che l’unico limite al lavoro agile è determinato da un eventuale pregiudizio per l’azienda, presupposto che manca in questo caso specifico.
Essere madre e lavoratrice?
Il fondamento normativo per la sentenza si trova nella legge 81/ 2017 che riconosce alle madri/lavoratrici il diritto al lavoro agile fino a quando il figlio non compie 3 anni. L’Italia, però, secondo le ultime stime, sembra essere ancora un Paese in cui si deve scegliere se essere madre o lavorare.
Un’indagine dell’Agenzia Giornalistica Italiana evidenzia che il 51% delle madri italiane ha un’occupazione, mentre il dato sale all’87,8% per i padri. È sotto accusa una cultura retrograda che preclude alle donne il diritto al lavoro e che di fatto è responsabile della scarsità di asili nido e di servizi a sostegno della maternità.
Il Rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021″ di Save the Children segnala che il diritto di lavorare per le madri non è ugualmente tutelato in tutto il Paese. Le Regioni del Sud infatti non hanno i servizi sufficienti per sostenere la maternità, mentre tra le aree più virtuose ci sono le Province Autonome di Trento e Bolzano, la Valle d’Aosta e l’Emilia-Romagna.
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