È successo. L’ultimo giorno al nido. L’altro giorno Pit è entrato nella sua scuola tutto baldanzoso e ne è uscito tenendo stretto il suo diario di bordo, una raccolta di foto e disegni che le maestre hanno abilmente confezionato per crearti quel sentimento di commozione misto a: “Mmmmioddddio che figlio in gamba che ho“, simile in ogni singola madre. È successo che guardandolo ballare, mentre muoveva le piume a ritmo di musica, l’ho visto divertirsi, l’ho visto riempirsi gli occhi di voglia di stare (e emulare) con gli altri bambini, di confondersi in mezzo a loro e di confrontarsi con i suoi pari in altezza. È successo che poi, a casa, sfogliando il suddetto diario ho riflettuto su quante cose mio figlio avesse fatto senza che io lo vedessi, quante ne avesse apprese. Quanto questo avesse influito sulla sua crescita e sulla velocità con il quale è cresciuto proprio mentre io ero impegnata a fare altro.
Ho pensato alle sue capacità di stare con gli altri, affinate, educate. Alla sua capacità di ascoltare con pazienza, capacità che a me era sempre stata nascosta. A quella di aspettare il suo turno che, a casa, da buon figlio unico, non ha mai avuto modo di sperimentare.
Ho pensato che quel tempo fosse, per lui, più salubre di quanto finora mi ero resa conto. Ho pensato al suo più che giusto bisogno di passare del tempo con altri bambini nonostante per me significhi investire il triplo delle energie in quella singola ora (al parco).
Ho pensato che ho sbagliato. Che l’asilo sarebbe potuto essere un valore aggiunto a questo anno e non una condanna che ci era stata imposta dai miei ritmi e i miei orari. Ho pensato che proverò a approcciarmi in maniera meno, diciamo prevenuta, e che proverò a farmi coinvolgere un po’ di più nelle attività scolastiche.
Se non altro per conoscere questa famosa Anna che l’altro giorno, all’uscita da scuola Pit chiamava tra le lacrime.
Il video della settimana