Premessa dovuta: lavorare è, molto spesso, una necessità e tale deve restare. A volte, solo a volte, si ha la fortuna di credere così tanto in quello che si fa, che lavorare diventa anche passione, autodeterminazione, affermazione.
Lavorare, dunque, non sempre è una scelta: lo è a volte, ma non sempre e, lo è o meno, allo stesso modo per gli uomini e per le donne: per i papà e per le mamme.
Allora, mi chiedo, perché una mamma che lavora ancora fa discutere?
Perché quello del rinunciare al lavoro dopo la maternità è uno scenario così naturale per tante persone? E perché, viceversa, se una donna decide di continuare a lavorare (perché le va o perché ne ha bisogno o per entrambe le cose) tutti si sentono in dovere di dire la loro in merito? Perché, ancora, gli uomini quando diventano papà non subiscono lo stesso trattamento?
Ammesso che una donna, mamma, continui a lavorare solo perché le va, perché nel lavoro vede la sua realizzazione, la sua passione, è davvero possibile che di conciliazione si parla solo declinandola al femminile? Perché la flessibilità sul lavoro, quando se ne parla, sembra essere appannaggio solo delle mamme? Perché gli uomini non chiedono o pretendono o possono auspicare a farlo lo stesso trattamento?
Perché, in definitiva, una mamma che lavora fa ancora discutere mentre un padre che lavora è normale amministrazione?
Perché non si può semplicemente iniziare a guardare agli uomini e alle donne come persone, con ruoli interscambiabili in casa e fuori, sulle quali il pregiudizio pesi allo stesso modo?
O ancora meglio, non pesi affatto.
Io credo, ci credo fortemente, nel fatto che la scelta giusta, soprattutto quando si parla di genitorialità, non esista in assoluto.
E credo anche molto nella libertà di poter fare ciò che si crede più opportuno per i propri figli. Credo che, per quanto mi riguarda, mio figlio è una possibilità, un valore aggiunto e la mia vita non inizia e finisce con lui quindi sì, sono una donna e madre che lavora anche per passione. E ne vado fiera.
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