Un team di ricercatori australiani ha da poco individuato un possibile marcatore biologico correlato al rischio della sindrome da morte in culla (SIDS), una patologia di cui non si sono ancora comprese esattamente le cause, ma sulla quale oggi potremmo augurarci di avere qualche dato in più.
Ecco i dettagli della ricerca e alcuni consigli per i neogenitori.
Lo studio australiano sulla SIDS
La SIDS, ovvero la sindrome da morte in culla, (dall’acronimo inglese Sudden Infant Death Syndrome) è una patologia non ben chiarita che provoca il decesso improvviso nel sonno in neonati e bimbi fino ai 2 anni di età, con un picco di casi entro i 5 mesi di vita.
A tutt’oggi rimane una sindrome misteriosa, perché si presenta come un evento multifattoriale, che è spesso fonte di angoscia per i nuovi genitori.
Ma un recente studio, condotto su più di 700 neonati da un’equipe di ricercatori australiani del Children’s Hospital di Westmead di Sydney, ha messo in luce il possibile legame tra il rischio di morte precoce in culla e i livelli di butirricolinesterasi (BChE), un enzima che è particolarmente coinvolto nell’attività cerebrale.
Gli studiosi ipotizzano che bassi livelli di questo enzima possano costituire un fattore di rischio, giacché lo studio ha reso evidente che i neonati che presentavano una carenza di questa sostanza erano quindi più vulnerabili rispetto agli altri per la SIDS.
Si tratta di una scoperta molto importante, dato che fino ad ora si erano solamente notate alcune condizioni (come in dormire a pancia in giù) potenzialmente correlate, ma non discriminanti; mentre per la prima volta ora può essere rilevato un biomarcatore in grado di fornire un dato oggettivo e che può essere misurato attraverso un semplice prelievo di sangue del neonato.
Fattori che possono influenzare la SIDS
Quel che è certo è che la sindrome da morte in culla dipende da una convergenza di vari fattori, ossia pare che non possa essere imputabile solo ai bassi livelli di BChE, ma anche ad altre condizioni a cui il bambino può essere sottoposto.
Tra i fattori aggravanti già noti anche alle neomamme e neopapà c’è la posizione del neonato durante il sonno, che sembra proprio che possa incidere negativamente sull’aumento del rischio di SIDS. Neonatologi e pediatri spesso sconsigliano infatti di mettere i piccoli a dormire a pancia in giù, perché questa posizione potrebbe comportare un alto rischio di soffocamento.
Anche l’esposizione al fumo di tabacco in casa è fortemente sconsigliato, così come situazioni di stress prolungato o le temperature troppo elevate nella camera del bambino.
Mentre il co-sleeping, ossia la pratica di dormire nella stessa stanza dei genitori, è visto come un fattore positivo, che protegge i piccoli dalla morte in culla. Ben diverso invece è il bed-sharing, che letteralmente significa dormire nel letto con mamma e papà : in questo caso è sconsigliato per il rischio di schiacciare il bambino o di cadute.
La misura che ci possiamo augurare è che l’analisi dell’enzima butirricolinesterasi (BChE) venga presto inserito tra i test di routine per lo screening neonatale che viene fatto in ospedale ad ogni nuovo nato nei primi giorni di vita, in modo da individuare precocemente un fattore di rischio importante per la SIDS.
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