Ai nostri figli dovremmo insegnare l’empatia. Non ad essere migliori a tutti i costi, ma ad essere empatici. A guardare fuori dalle proprie vite, dal nostro orticello. Ad essere curiosi, a non giudicare, perché è così che si cresce: così che si diventa migliori.
Difficilmente si cambia, raramente si tramutano i difetti in pregi, però possiamo insegnare ai nostri figli a prenderne atto, di come siamo fatti noi e soprattutto del fatto che non siamo da soli in questo mondo e che le azioni degli altri non possono essere giudicate da fuori.
Stiamo vivendo un momento difficile, per alcuni di noi forse il più difficile, e nessuno di noi ne sta uscendo migliore.
La verità è che tutti abbiamo perso qualcosa, tutti ne siamo usciti indeboliti ma in pochi abbiamo imparato l’unica cosa che avremmo dovuto imparare: l’empatia, appunto.
Per questo dico che è la cosa che più di molte altre voglio che mio figlio impari. Perché se c’è una cosa che più di altre trovo intollerabile in questo momento è chi pensa che questa situazione riguardi solo lui o lei. Chi pensa che questa, sia una gara al dolore, a chi soffre di più, quando invece dovrebbe essere il contrario, una corsa per sostenerci, reciprocamente.
Chi, ancora, riesce solo a guardare quello che ha perso lui, senza riuscire ad alzare lo sguardo dalla punta delle proprie scarpe.
Io ho capito per la prima volta che nessuno si salva mai del tutto se è solo, per questo dico che non c’è insegnamento più importante da regalare ad un figlio.
Perché per diventare migliori c’è sempre tempo, mentre credo che questa sia la nostra ultima possibilità di dimostrare che uniti si va più lontani, che non c’è un nemico comune al di fuori del nostro egoismo.
E non perché il male quando è comune fa meno male: vivere così fa schifo per tutti, ma finché non cambieremo lo sguardo ampliandolo alla collettività lo schifo non finirà.
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