Dal rapporto annuale dell’Unicef sulla condizione dei minori nel mondo, presentato nei giorni scorsi a New York, emerge che, negli ultimi 20 anni, ben 90 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni sono stati salvati dalla mortalità infantile.
Questi dati sono ancora più rassicuranti se uniti a quelli sulla frequenza della scuola primaria da parte di sempre più alunni. Nel giro di undici anni, dal 1990 al 2011, infatti, si è passati dal 53% all’81%.
I responsabili dell’Unicef hanno sottolineato come queste statistiche, oltre che un insieme di dati che permette di comprendere a livello teorico la situazione dei più piccoli in tutto il mondo, siano anche un aiuto concreto per attivarsi e risolvere le problematiche più grosse, dando aiuti ai Paesi più poveri. La responsabile della divisione statistica dell’Unicef, Tessa Wardlaw, infatti, ha sottolineato come il progresso sia possibile solo conoscendo le situazioni più disperate e con azioni concrete di sensibilizzazione di tutta la cittadinanza mondiale.
Nonostante questo, però, rimangono molte disparità, soprattutto nei Paesi più poveri. In totale, nel 2012, sono morti 6,6 milioni di minori sotto i cinque anni, il che significa, a ben vedere, circa 18 mila bambini al giorno. E le cause del decesso, sono nella maggior parte dei casi, prevedibili.
La Sierra Leone detiene il primato di mortalità infantile, con 182 bambini sotto 5 anni su 1000 deceduti. Anche il Ciad è tristemente primo in questa classifica al negativo. Su ogni 100 maschi che frequentano la scuola, per esempio, ci sono solo 44 femmine.
Se alla mortalità si aggiungono le percentuali di bambini costretti a lavorare (il 15% nel mondo), o quelle delle bambine obbligate a sposarsi prima dei 15 anni (l’11%), appare chiaro che i casi su cui lavorare siano ancora molti. I buoni risultati diffusi dall’attuale rapporto e raggiunti nell’arco di un ventennio, comunque, sono segnali positivi che fanno capire come, con impegni concreti, sia possibile sperare in un mondo migliore.
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