Qualche sera fa a cena, mio figlio di sette anni ha sbottato dicendo che era la persona più sfortunata del mondo.
“Perché mamma sono così sfortunato?” mi ha chiesto. Io ci ho messo un po’ a capire che cosa intendesse e l’ho lasciato parlare. Lui, allora, mi ha detto che questo maledetto virus gli sta togliendo tutto quello che ha: la scuola, il calcio, il secondo compleanno di fila da poter festeggiare con gli amichetti. I viaggi.
“Non posso fare niente, mamma. E io sono piccolo solo adesso. Sono nato da così pochi anni e questo virus è arrivato a interrompere tutto“.
Ho provato a spiegargli che era così per tutti. D’altra parte, lo ammetto, l’ho sempre vista dalla parte dei più anziani. Di chi in qualche modo ha “gli anni contati”.
È un discorso stupido, lo so, non esiste gara a chi soffre di più, a chi ha perso di meno, ma ho sempre provata molta più tenerezza per gli anziani che per i bambini.
Soprattutto in questi ultimi mesi ho spesso pensato al tempo sottratto, a chi di tempo non ne ha.
Poi è arrivato mio figlio, un bambino di sette anni, a spiegarmi come stanno realmente le cose, a ricordarmi che la gara a chi ha perso di più è sempre insensata e che forse, alla fine ha ragione lui perché l’infanzia deve essere preservata. Sempre e comunque.
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