Un recente studio ha cercato di capire per quale motivo i neonati, a differenza degli altri mammiferi, vengono al mondo inermi, indifesi e solo parzialmente sviluppati (basti pensare che, al momento della nascita, il cervello di un neonato ha raggiunto uno sviluppo pari appena al 30%).
Fino a questo momento la comunità scientifica ha ritenuto che da quando l’uomo ha assunto la posizione eretta e, dunque, la deambulazione bipede, di riflesso sarebbe mutata anche l’anatomia del parto, divenendo assai più complessa. Se da una parte, infatti, il collo uterino si è ristretto, dall’altra si è anche allargata la scatola cranica a causa dell’aumento di volume del cervello. Proprio in virtù di queste circostanze incrociate, il processo di adattamento avrebbe portato alla nascita del bambino prima che questi abbia completato il proprio sviluppo.
Tuttavia questa ipotesi, denominata dilemma ostetrico, non spiegava per quale motivo, l’evoluzione non avesse provveduto a ri-allargare il collo dell’utero.
L’ipotesi dell’antropologo evoluzionista Holly Dunsworth
A offrire una risposta alternativa ci ha pensato un gruppo di studiosi statunitensi. Ci riferiamo all’ipotesi elaborata dal team del professore di antropologia evoluzionista Holly Dunsworth, denominata EGG (Energetics, Growth, Gestation), la quale si basa su una riflessione di tipo metabolico: il feto dei neonati necessita di un contributo metabolico significativo da parte della propria madre. Parallelamente all’aumento del cervello umano anche le risorse richieste dal nascituro sono aumentate.
Se continuasse, pertanto, a svilupparsi nell’utero materno, il feto finirebbe per mettere a rischio la salute della propria genitrice. Sarebbe dunque questo il motivo per cui, raggiunto un determinato livello di crescita, il bambino viene messo al mondo, senza compromettere il benessere materno.
Questo studio sarà prossimamente pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences, ovvero gli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d’America).
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