Si chiama morte perinatale ed è una delle più grandi paure delle donne in attesa o che hanno appena partorito. Con questo termine si designa la perdita del bambino a partire dalla 27° settimana di gestazione fino a una settimana dopo il parto. Questo evento è fin troppo trascurato dalla società che non prende in considerazione la sofferenza di una mamma “mancata”, di una donna amputata di una sua parte, come se la morte di una creatura così piccola avesse un’importanza minore di quella di un bambino più grande o di un adulto.
Uno degli errori più grandi che viene commesso in questi casi è quello di dire alla mamma “Sei fortunata che ne hai altri”, qualora la donna avesse già altri bambini e come se quella nuova vita che stava per arrivare potesse avere un significato minore solo perché “ne hai altri”; oppure “Siete così giovani, riprovate subito”, come se si trattasse di un incarto di cioccolatino o di un gratta e vinci, “Ritenta, sarai più fortunato”. Sono i sogni che se ne vanno nei casi di morte perinatale, tutto quel grande bagaglio di aspettative di vita futura assieme al proprio bambino che si accumula durante i nove mesi.
Dal momento del concepimento la mamma inizia a immaginare il viso del suo bambino, alle cose che faranno assieme, a come sarà meraviglioso stringere la sua manina, allattarlo. Poi all’improvviso il battito non si sente più, e ogni sensazione di gioia, ogni aspettativa viene sopraffatta dal dolore e dalla rabbia. Occorre tempo e sovente degli aiuti per elaborare quello che è a tutti gli effetti un lutto. Un lutto che invade ogni spazio della famiglia, un sentimento articolato che si confonde coi sensi di colpa della mamma, sensi di colpa che con gli aiuti necessari e con il tempo sono però destinati a diminuire.
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