Ora che mio figlio non è più un neonato ho capito di essermi fatta un sacco di problemi, troppi, nel corso di questi anni da “mamma“. Mi sono preoccupata di cose inutili, superflue, senza mai concentrarmi sull’essenziale.
Mi sono preoccupata del fatto che mio figlio ha iniziato a parlare troppo tardi, camminare troppo presto, dormito troppo poco.
Del fatto che non lo abbia allattato abbastanza e che lo abbia “parcheggiato” dai nonni troppo spesso. Mi sono angosciata per il nido a nove mesi e poi per la materna fino a sei anni, invece che a cinque, per il pannolino che non riusciva a togliere e per le “s” che non riusciva a pronunciare bene e per il fatto che non dormisse nel suo letto dove, effettivamente, ancora non dorme.
Perché gli altri figli erano più educati, ubbidienti, sorridenti e perché gli altri genitori, invece, erano più presenti, creativi, entusiasti.
Mi sono fatta problemi, quando aveva pochi mesi, anche per una doccia, come fanno tutte le mamme e ora mi chiedo in quale modo dieci minuti lontano da me, nella culla o nel passeggino, mentre io lavavo i capelli incollati da dieci giorni di rigurgiti e sudore, potessero nuocere a mio figlio.
Mi domando in che modo, nell’economia di una vita, un biberon in più e una tetta in meno, una dormita in più nel lettone, un giorno in più col pannolino, possano avere un impatto importante.
Mi chiedo perché, il fatto che a tre anni non avesse ancora assaggiato tutti i gusti fusion del mondo “come hanno fatto gli altri bambini“, mi facesse sentire una madre peggiore.
Ecco, se c’è una cosa che ho capito e che se tornassi indietro non rifarei è mortificarmi, mortificarmi sempre. Fustigarmi ogni volta che il confronto con le altre madri si dimostrava impietoso nei miei confronti. E, soprattutto, mi direi più spesso: “Sei tu la madre migliore che c’è per tuo figlio“.
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