La Festa del Papà si avvicina e ogni papà sa già che c’è in preparazione un lavoretto dell’asilo per lui. Che poi, pensandoci bene, questi lavoretti ci fanno diventare papà anche un po’ delle maestre, visto che non sono realizzati dai nostri figli proprio da soli, partendo già dai pochi anni del nido.
In molti casi, tra l’altro, il materiale proviene proprio da casa nostra. Assemblato, rilavorato, incollato, dipinto. Non so perché ma, alla fine, uno degli elementi che vanno per la maggiore per la realizzazione di questi regali è il cilindro di cartone della carta igienica. Ti viene quasi la tentazione di tornare al metodo naturale delle foglie, non per il rispetto della natura e per l’ecologia, ma per togliere la materia prima alla macchina infernale dei lavoretti dell’asilo, arrivando così alla sua chiusura definitiva.
Dovrebbe essere arrivato il momento giusto per sgombrare il campo da tutti i fraintendimenti: le maestre pensano che smettendo i genitori ci rimarrebbero male, i genitori sono convinti che ai figli faccia piacere impiastricciare un po’, i bambini credono che i loro genitori siano contenti. Mettiamoci intorno ad un tavolo e ognuno dica la verità.
Il rito del lavoretto prevede che alla consegna il papà debba dire che è “Bellissimo!”, anche se è storto, se non sta in piedi sul tavolo, se ha perso qualche pezzo già nel tragitto tra asilo e casa. Di fronte allo sguardo perplesso del figlio, che probabilmente si rende conto che quello che ha realizzato non è poi così bello, figuriamoci bellissimo, il padre deve aggiungere necessariamente “E’ perché l’hai fatto tu”.
In realtà sappiamo tutti che il destino di questi lavoretti è già scritto ed è quello di finire in uno dei cassetti di casa, quello meno utilizzato, ufficialmente il cimitero delle produzioni “made in asilo”. Solo per pochissimi lavoretti, i più fortunati, c’è la gloria, ovvero la scrivania dell’ufficio del papà.
Se potessi scegliere io un regalo da mia figlia per la Festa del Papà, un regalo veramente fantastico, so già cosa vorrei. Me ne basterebbe uno solo, una volta per tutte, valido per tutti gli anni a venire. Vorrei una scatola, di quelle di cartone o di latta, che non danno nell’occhio. Da nascondere nell’armadio, nel ripiano più alto, o in fondo ad un cassetto nascosto dai maglioni invernali.
Sarebbe una scatola magica e vorrei che contenesse:
- un sorriso di mia figlia, da guardare alla fine di quelle giornate pesanti rientrato a casa o prima di andare a dormire quando i pensieri si affollano nella testa.
- una sua risata, perché le risate dei bambini, come tante loro cose, sono esagerate, rumorose, quasi eccessive. Ma soprattutto perché la risata è contagiosa e so che sicuramente riuscirebbe a strapparmi almeno un sorriso.
- un suo bacio sulla guancia, quello con lo schiocco che sembra quasi una pernacchia, un misto tra dolcezza e impertinenza. Di quelli che poi ti guarda con quell’aria di sfida.
- un abbraccio forte, dato con così tanta forza che vorrebbe quasi farti scrocchiare le ossa come misura del suo volerti bene.
- la sua voce che chiama “babbo”, da riascoltare quando, come giusto che sia, gli anni avranno arricchito il suo mondo di persone, esperienze ed interessi e non mi chiamerà continuamente per stare insieme come i primi anni della sua vita.
Saprei che è lì e l’aprirei a mio piacimento. E sono convinto che in quei momenti non sarei da solo perché, sicuramente, anche la mamma mi chiederebbe di rivedere insieme a me quel mio regalo per la Festa del Papà di tanti anni fa.
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