I figli sono figli. Punto e basta. Questa, in estrema sintesi, è stata la rivoluzione che qualche anno fa è stata introdotta nel diritto di famiglia: addio alla distinzione fra figli naturali e figli legittimi, cioè fra figli nati da genitori non sposati fra loro e fra figli nati da genitori coniugati, e benvenuta equiparazione dei figli, con il principio di unicità dello status di “figlio”.
Con la legge 219 del 10 dicembre 2012 e il successivo decreto legislativo attuativo, il numero 154 del 2013, è stato, infatti, superata la diseguaglianza normativa che distingueva anacronisticamente i figli legittimi dai figli naturali.
Riconoscimento dei figli naturali: diritti e responsabilità
Ciò non toglie che i genitori di figli nati fuori dal matrimonio debbano comunque procedere al riconoscimento dei figli naturali (con la dovuta precisazione che ormai questo termine è superato): si tratta di un atto solenne e irrevocabile (salvo pochi e ben precisi casi) che ciascuno dei due genitori (da solo o insieme) può fare. La dichiarazione viene formalizzata nell’atto di nascita, in atto pubblico oppure in testamento oppure nella domanda presentata al Giudice Tutelare.
Con il riconoscimento dei figli naturali sorgono tutte le responsabilità genitoriali, perfettamente coincidenti con quelle che i genitori di figli legittimi hanno. Fra questi, il mantenimento.
Naturalmente, dopo aver riconosciuto il figlio, il genitore può vantare anche i diritti che la genitorialità comporta, pensiamo ad esempio alla possibilità di frequentare il figlio.
Il riconoscimento dei figli naturali può essere fatta dal genitore che abbia compiuto più di 14 anni d’età, e, se sussiste l’autorizzazione del giudice, anche se fra i genitori esiste un legame di parentela.
Per quanto riguarda il cognome, viene attribuito quello paterno se i genitori riconoscono contemporaneamente il figlio; altrimenti assume quello del genitore che lo ha riconosciuto per primo.
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