Sta facendo molto discutere in questo ultimo mese la serie tv di origine coreana, Squid Game, mandata in onda su Netflix anche in Italia, se pur in lingua originale con sottotitoli. La serie ha come protagonisti un gruppo di soggetti emarginati e reietti della società che partecipano ad alcuni dei più classici giochi per bambini accettando regole particolari: in caso di vittoria premio in denaro, in caso di sconfitta percosse e morte.
La serie, vista anche da molti bambini, ha fatto molto scalpore per la violenza delle scene e ha destato la preoccupazione da parte dei genitori, i quali hanno visto i propri figli emulare alcune scene; a tal proposito sono intervenuti anche numerosi psicologi che hanno cercato di dare un parere.
Squid Game: la serie tv che sta facendo discutere
Comparsa su Netflix per la prima volta il 21 settembre 2021, Squid Game in poco meno di un mese ha già fatto molto parlare di sé. La serie racconta le vicende di un gruppo di emarginati sociali, abbandonati dalle famiglie e senza soldi, i quali accettano di partecipare ad alcuni giochi con la promessa di ricchi premi in denaro; in caso di sconfitta, però, la punizione è la morte. Proprio per i suoi contenuti altamente violenti, la serie è stata classificata come vietata ai minori di 14 anni.
C’è preoccupazione nelle scuole e tra le famiglie per i possibili effetti negativi che la serie può avere sulla mente dei più giovani, come dimostrano i racconti di alcune insegnanti: una maestra, ad esempio, racconta di aver visto alcuni suoi alunni simulare il gesto della pistola verso un bambino che aveva perso al gioco “un due tre stella”.
Squid Game: il parere degli esperti
Come sottolinea anche il famoso psicoterapeuta esperto in problematiche infantili, Roberto Pellai, i problemi e i rischi sono molteplici. Sussiste anzitutto il rischio di emulazione, se pur in forma del tutto innocua come nel caso del gesto dello sparo. Il vero rischio, sarebbe, in realtà, quello di una mancata assimilazione e classificazione delle immagini che un bambino vede, e che non è in grado di decifrare.
Proprio per questo, secondo Pellai, sarebbe opportuno che i bambini e i preadolescenti non guardassero determinati contenuti, non essendo la loro mente ancora in grado di dare ad essi un ordine e un senso. Il rischio è quello di traumi psicologici, che si sviluppano e si consolidano anche molto tempo dopo rispetto alla visione delle immagini.
La soluzione è, dunque, un controllo capillare e costante dei contenuti che i bambini guardano, talvolta vietando loro di fare qualcosa senza la paura di passare per genitori tiranni o cattivi. I genitori sono tenuti a vegliare infatti che i figli minorenni non possano visionare contenuti inadatti alla loro fascia di età.
Il video della settimana