“Mio figlio NON ha bisogno dello psicologo”
Chiedere un supporto psicologico può essere molto difficile, ancor di più se riguarda il malessere di un figlio.
Rifletteremo insieme sui campanelli d’allarme importanti da ascoltare e sulle ragioni che possono più o meno inconsciamente ostacolare la richiesta di aiuto.
Lo psicologo fa paura?
Se un figlio ha un mal di denti è tendenzialmente spontanea e immediata la reazione del genitore che si mobilita per rivolgersi al dentista. Lo stesso avviene per la moltitudine di sintomi fisici che possono generare malessere.
Diversamente, la richiesta di un aiuto psicologico risulta spesso meno automatica, più difficile da effettuare.
La psicologia e la psicoterapia, come strumenti per la cura della salute mentale hanno nel tempo ottenuto un riconoscimento e una valorizzazione nel concetto di salute, intesa in senso olistico e non puramente medico.
Vi sono però ragioni che trasversalmente possono generare resistenza e scetticismo verso i percorsi di psicologia e psicoterapia, alcune delle quali posso essere:
- La psicologia non è una scienza perfetta, matematica e lineare: non ci sono regole universali poiché al centro vi è l’unicità della persona.
- Gli psicologi e gli psicoterapeuti corrono un duplice rischio, da una parte di svalutare la materia e la professione attraverso la trasmissione di contenuti social eccessivamente semplificati, dall’altra parte di rimanere chiusi nei propri studi di psicoterapia e non rendersi sufficientemente accessibili alla collettività eterogenea.
- Un percorso di supporto psicologico o di psicoterapia comporta la necessità di affidarsi a qualcuno che non si conosce.
- I genitori possono vivere un senso di fallimento nel chiedere un aiuto psicologico per sé o per i propri figli, credendo di essere la causa principale del malessere.
- I genitori possono temere di sentirsi giudicati dallo psicologo.
- Riconoscere la sofferenza di un figlio può essere molto difficile sia perché protettivamente si innesca il meccanismo di difesa della negazione, sia perché non sempre ci sono sintomi concreti ed oggettivi come per il corpo.
Quando è importante chiedere un aiuto psicologico?
Un bambino non è una monade ma vive in profonda interconnessione con i propri familiari. Il malessere di un bambino richiede quindi di essere compreso e risolto all’interno della sua famiglia, considerandolo l’espressione di un disagio non solo individuale ma anche relazionale.
I genitori non sono in tal senso considerati colpevoli in una logica lineare, ma bensì vengono ritenuti gli alleati più preziosi nella comprensione e nella cura.
Per tale ragione non lavoro con i bambini senza il coinvolgimento attivo dei propri genitori, creando un gioco di squadra, ma esistono percorsi differenziati, sia individuali che familiari.
L’intervento precoce previene l’esacerbazione e la cronicizzazione del disagio.
I campanelli d’allarme
Vedremo insieme quindi alcuni dei campanelli d’allarme a cui è importante rispondere:
- Quando emergono sintomi fisici che non trovano spiegazione medica: spesso i bambini esprimono il proprio malessere psicologico attraverso somatizzazioni corporee.
- Quando si verificano comportamenti regressivi stabili nel tempo: il bambino non riesce ad affrontare i compiti evolutivi di crescita connessi alle graduali autonomie (mangiare, dormire ecc.).
- Quando vi è un disadattamento pervasivo: il bambino non riesce ad adattarsi e integrarsi nei contesti di vita extra familiari.
- Quando il bambino presenta difficoltà di socializzazione con i pari.
- Quando il bambino ha un rapporto di eccessiva distanza o eccessiva morbosità con uno dei genitori.
- Quando il malessere infantile non è reattivo e connesso ad un momento di vita specifico e transitorio.
- Quando il malessere insorge in reazione ad un momento, un evento particolare ma permane nel tempo: potrebbe esserci il bisogno di elaborare un’esperienza vissuta come traumatica.
Momenti di difficoltà transitori sono fisiologici e non occorre “psicologizzare” tutto, creando una patologizzazione di aspetti fisiologici, con il rischio di trasmettere al bambino la percezione di sé come “persona problematica”, ma quando il disagio diviene intenso, continuo e pervasivo è importante permettersi di farsi aiutare.
Dott.ssa Giulia Gregorini
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