Virus sinciziale: il ricovero e lo sfogo di una mamma con il suo bambino

17 dicembre 2024 –

La vita è strana, ha voluto farmi tornare in ospedale proprio negli stessi giorni in cui un anno fa ho vissuto uno dei momenti peggiori della vita. L’ho preso come un segno per accompagnare una riflessione e in qualche modo lasciar andare qualcosa che ancora non ho metabolizzato del tutto.

Oggi sono stata lì di passaggio, per una visita, un anno fa ero dentro quell’ospedale con Geremia che aveva tre mesi e mezzo, una brutta bronchiolite e una mamma che è crollata.

Lo strazio di una mamma nel vedere il figlio malato

Mi è difficile parlare di quei giorni, del respiro affannato, delle forze che mancano, della tosse troppo forte per un batuffolo così piccolo, di lui che non sorride per giorni, dei cavi a cui eravamo legati, dei macchinari che suonano e delle mille domande che ti passano per la testa in quei frangenti.
La creatura che d’istinto e di cuore proteggi dal mondo ti sembra all’improvviso vulnerabile e capisci che non potrai proteggerla da tutto, né oggi né mai. Quella creatura ora vive al di fuori di te e deve affrontare il mondo e i momenti difficili, come hai fatto tu, come fanno tutti.

Avrei voluto essere lui quando a casa ci siamo resi conto che non stava per niente bene e la febbre gli è schizzata a 41, avrei voluto essere lui quando all’ospedale hanno cominciato a infilargli aghetti qua e là, avrei voluto essere lui quando voleva attaccarsi al seno ma i dottori mi dicevano di aspettare, avrei voluto essere lui quando da mamma sono crollata e l’ho dato in braccio a una volontaria perché non ce la facevo più. Avrei voluto essere lui forse per proteggere anche me.

Ma dovevo essere solo me, la sua mamma, forte o debole che fossi, ero ciò di cui aveva bisogno.
Vederlo un figlio così vulnerabile ti fa capire quanto relative siano la stragrande maggioranza delle cose a cui diamo importanza ogni giorno.

La forza di affrontare le difficoltà e l’incertezza

Del primo giorno di ricovero fatico ancora a parlare, piangevo e basta, e un po’ me ne vergogno, ma la reazione alle difficoltà non è una cosa che viene a comando. Per reagire ho dovuto sfogarmi con il suo papà: “E’ lei ora che ha bisogno d’aiuto. Il bambino è sotto controllo. Portala a bere un caffè” gli ha detto la volontaria che ci aveva presi a cuore “resto io qui con il bambino”.

Siano benedette queste persone che aiutano con il cuore. Al bar non ci siamo arrivati, mi è bastato uscire dal reparto e accasciarmi su una sedia per buttare fuori tutto ciò che mi stava inutilmente logorando il cervello. Quel senno di poi che ci devasta le giornate. Se sei nella merda, muoviti, o lei ti inghiottirà, forse questo è l’unico sporco segreto per reagire alle difficoltà. Finite le lacrime sono tornata dentro, un po’ più leggera.

Ho cercato forza nell’abbraccio della mia mamma, sentirsi figli a volte ti mette al riparo. Sapere che oltre a una mamma forte, potevo permettermi di essere anche una figlia fragile mi ha aiutato molto.

Ho cercato forza nella mamma che assisteva la figlia adolescente nel letto a fianco al nostro. In un momento di disperazione ricordo di averle chiesto: “Ma quindi questo senso d’incertezza, il fatto che il tuo cuore è esposto anche ai suoi pericoli non si farà più leggero con il tempo?”

Lei mi ha sorriso: “No, non passa mai.”

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Ho cercato forza nel sorriso premuroso degli infermieri che la notte venivano a controllare come
stavamo. Ricordo la prima notte in particolare, è stata un incubo, Geremia non riusciva a dormire
per più di 10 minuti di seguito. È stato logorante, abbiamo provato qualsiasi cosa per calmarlo.

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Da mamma mi sentivo “una merda” non c’è altro modo per dirlo, pensavo: “ma è possibile che non
riesci a calmare tuo figlio?”. Mi rispondo oggi: “Sì, a volte è possibile.” Fissavo i minuti scorrere, e
non è un modo di dire, avevo davanti lo schermo con i parametri della saturazione dell’ossigeno e l’ora. Fissavo quei numeri, ping pong- ping pong- ping-pong, e pregavo solo che arrivasse mattina.
Con il sole anche le difficoltà paiono più leggere. Di notte mi prendeva davvero l’ansia.

Ho cercato forza nei pediatri che passavano a farci visita e sottolineavano ogni singolo
miglioramento. Ne ricordo uno in particolare: “Il bambino sta meglio, vedrà che domani gli
togliamo l’ossigeno. E lei, come sta, mamma?”

Gli ho sorriso.
“È distrutta vero, mamma?”
Ho annuito.
“Dai, si faccia forza e pensi che a Natale probabilmente sarete a casa.”
Là dentro ti chiamano tutti MAMMA, per praticità ho pensato, o forse perché è una delle parole
più belle al mondo.

Ho cercato forza nei piccoli doni che ci arrivavano dal reparto. Ho scoperto infatti la vera bellezza
di ricevere un regalo inaspettato. Ogni giorno infatti a Geremia arrivava uno dei doni che le
persone lasciavano in ospedale per i bambini ricoverati, è qualcosa di meraviglioso. Tutt’ora
conservo quegli oggetti e sorrido ogni volta che ci gioca. Credo infatti di aver acquisito una nuova
tradizione natalizia: portare un gioco all’ospedale, da quest’anno in poi, farà parte di noi.

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Ho cercato forza nella mia nuova compagna di stanza, che era nella mia stessa situazione, con una
neonata in piena bronchiolite, abbiamo cercato di supportarci a vicenda e ci siamo fatte un po’ di
compagnia. È strano il legame che si crea con le persone in situazioni simili. Il giorno prima sono
sconosciute e quello dopo condividi con loro la tua intimità. Quando arriva il momento di salutarsi
fa specie pensare che ognuno tornerà nella propria vita, ma sai che resterà per entrambe un
ricordo indelebile e un filo che in qualche modo vi unirà. Come se vi foste fatte un tatuaggio
insieme. Credo accada qualcosa di simile con la compagna di stanza che ti capita quando nasce un
figlio.

Ho cercato forza in chi a casa si stava occupando del mio piccolo Brando, non è stato facile stargli
lontana per una settimana
. È successo tutto così all’improvviso per me, figuriamoci per lui. La
mamma e il fratellino che spariscono in un colpo solo. Ricordo però il suo sorriso quando siamo
tornati e le parole che gli sono uscite solo il giorno seguente: “Mamma, sono tanto felice che sei
tornata.”

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Ricordo tutto. Lo ricorderò per sempre, ma vorrei anche lasciarlo andare e forse scriverlo un po’
aiuta. Non ho imparato nessuna lezione. Solo che a volte capita e può capitare proprio A TE.
Quando ci sei dentro devi muoverti, avere fede e non avere paura di avere paura.
Se invece capita a qualcun altro, trova il modo di dargli forza. Se ne ricorderà, per sempre.

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